18 Ottobre 2024

MILANO DIGITAL WEEK 2024: AI, meglio artificiale che niente

Ha aperto così il suo intervento Piero Poccianti durante il panel a Palazzo dei Giureconsulti sulla Strategia Italiana per l'AI. Premesso che di strategia abbiamo sentito pochissimo, ma probabilmente è colpa nostra, la conversazione è stata comunque oltremodo interessante.

Esiste un elemento umano con cui, allo stato attuale e a quanto pare ancora per molto, questa intelligenza artificiale dovrà fare i conti. Un umano che si esplica e si dipana in molti ambiti, posto che siamo in grado di comprenderlo e gestirlo.

Innanzitutto è necessario, vitale forse, far sì che un numero sempre maggiore di persone capiscano come questi sistemi di Intelligenza Artificiale generativa funzionano. Non si tratta di tecnologie che "ragionano", infatti, ma di tecnologie che, su una base mastodontica di dati, provano a "indovinare" (ci si perdoni il termine poco ortodosso) qual è l'opzione migliore successiva.

Pensiamo alle parole, per esempio. Questa è una attività tipica del cervello umano, provare a indovinare qual è la parola successiva più probabile, più adatta. Lo facciamo a enorme velocità quando parliamo e quando ascoltiamo. E lo fanno anche i modelli di intelligenza artificiale generativa. Qual è la differenza tra noi e questi modelli, allora? Il fatto che noi ragioniamo. I modelli non ragionano, lavorano per probabilità. C'è una enorme differenza.

La differenza che sta tra il comprendere i meccanismi di una tecnologia dirompente che, certamente, sta già cambiando in modo rapido e indiscutibile il mondo in cui viviamo, il nostro modo di fare business, il modo in cui generiamo le informazioni, e il pensare che questa tecnologia sia una specie di oracolo. Non lo è. Si basa su una mole enorme di dati, certo, ma non su tutti i dati. Non è, insomma, onniscente. Già solo rendere la popolazione consapevole di questo farebbe, a mio avviso, una enorme differenza.

Infatti chi è, oggi, che utilizza al meglio questi prodigiosi strumenti? Non chi li interroga come quando si fa una ricerca su Google, e prende per buono qualunque esito ne venga fuori. Bensì coloro che, padroni della propria materia o ambito di intervento e anche minimamente padroni delle tecniche di linguaggio da utilizzare nell'interazione con questi strumenti, sono in grado di valutarne le risposte, le produzioni, la generazione di nuovo contenuto. Sempre per riprendere le parole di Piero Poccianti , "il medico che conosce la medicina".

Una provocazione culturale

Insomma, è vero che questi modelli su cui si basa la GenAI sono di fatto "calcolatori di parole", dice Cosimo Accoto, ma è anche vero che ci sembra si siano appropriati di un qualcosa che, finora almeno, era stata una prerogativa dell'umano. Solo l'umano leggeva, scriveva e parlava. Oggi arrivano invece delle macchine che leggono, scrivono e parlano. E questo ci interroga. È una profonda provocazione culturale.

Non solo. Ma ad oggi chi possiamo considerare l'autore di quello che, per esempio, ChatGPT produce? Il modello linguistico su cui è basato? I dati su cui ha lavorato? Il prompt di chi lo ha interrogato? Dov'è il copyright di quel contenuto? E ancora. Abbiamo ancora bisogno di un diritto di autore?

È un dibattito aperto ed estremamente interessante, proprio perché così come ai problemi tecnici si risponde, di norma, con l'innovazione tecnologica, alle provocazioni culturali si dovrebbe rispondere con una innovazione culturale.

E, naturalmente, il ragionamento non si ferma alle parole, ma va ben oltre, abbracciando il mondo della creatività più in generale. Il famoso esperimento The Next Rembrandt ci pone altrettanti quesiti da affrontare. Come può una macchina capire lo spirito di Rembrandt e "dipingere al suo posto come avrebbe fatto lui?". Forse, e dico forse, opportunamente istruita con una adeguata mole di dati, potrebbe. O forse no. Perché quelle di Rembrandt non erano scelte puramente probabilistiche. Erano scelte estetiche che richiedevano un sacco di studio, investimento, intuizione.

La stessa intuizione che, nell'esempio di Lorenzo Maternini sta alla base del Made in Italy, che porta nel mondo fisico quotidiano qualcosa che non solo prima non esisteva, ma interpreta il gusto della modernità, anticipando qualcosa che probabilmente esiste già nel nostro immaginario ma che ancora non siamo capaci di vedere. E se questo è vero, allora dobbiamo anche ammettere che certamente l'AI entrerà d'imperio nel processo creativo, ma il suo contributo non potrà che essere (almeno allo stato attuale) quello di una scelta estetica passiva. Una rielaborazione dei dati che la macchina ha modo di analizzare. Una rielaborazione creativa molto diversa dall'anticipazione attiva che sta alla base del processo di creazione artistica umana, appunto.

Per fare il salto, sarebbe necessario inserire l'intuizione nei modelli fondativi alla base dell'intelligenza artificiale. Ma chi è deputato a una cosa del genere? Saranno ingegneri, filosofi, psicologi, umanisti? Forse tutti insieme, anzi molto probabilmente tutti insieme. Perché in questo momento in cui ancora una volta l'umanità si è dotata di un nuovo superpotere (Andrea Santagata), la vera sfida del domani sarà quella di inserire le nostre qualità all'interno della macchina e farlo in modo consapevole.

20 Luglio 2023

Un medico chiamato Apple

Apple è già sulla tua scrivania, nelle tue tasche e al tuo polso. Ora sembra che voglia essere anche nel tuo sangue, o quantomeno monitorarlo da vicino. Quando si tratta di costruire community intorno ai propri valori e ai propri prodotti tecnologici, l'azienda della mela ha sempre dimostrato grandi capacità e una attenzione maniacale ai dettagli. Lo ha dimostrato nella sua cura del prodotto, nella sua comunicazione ma anche, e soprattutto, nella sua determinazione a raccogliere dati quanto più accurati possibile, e in grandi quantità. E questa volta, cosa si sono inventati?

A quanto pare l'azienda sta cercando di brevettare una "cuffia ambulatoriale per la pressione sanguigna" che consentirebbe all'utente di muoversi mentre la indossa. Apple ha dichiarato che il dispositivo permetterà di monitorare il paziente per periodi di tempo più lunghi, "in modo che le misurazioni fisiologiche possano essere effettuate periodicamente o continuamente".

Inoltre, Apple ha depositato un brevetto per metodi per controllare questa cuffia "in risposta a una o più condizioni biologiche o ambientali". Fondamentalmente, la cuffia consente al paziente di monitorare la pressione sanguigna senza stare completamente fermo, adattandosi ai movimenti dell'utente. Che cosa cambia, questa scelta, nel paradigma della relazione medico-paziente o della relazione di una persona con le sue condizioni fisiologiche, siano esse anomale o meno? Un sacco di cose.

"Nella determinazione di una pressione sanguigna accurata, di solito è necessario che una persona assuma una particolare postura, posizione o altre condizioni", ha dichiarato Apple. "Tuttavia, se si desidera monitorare periodicamente e continuamente la pressione sanguigna di una persona... istruire la persona a interrompere continuamente ciò che sta facendo e soddisfare una serie di condizioni... può essere molto invasivo e disturbante".

Questo non è il primo tentativo di Apple di brevettare un monitor della pressione sanguigna. L'azienda ha depositato diversi brevetti per ossimetri pulsati negli Apple Watch e ha recentemente perso una battaglia legale con la società di tecnologia medica Masimo per la violazione dei suoi brevetti relativi ai dispositivi per la pressione sanguigna. Questo ulteriore tentativo, tuttavia, rinforza la volontà dell'azienda di Cupertino di mantenere un saldo controllo sul settore della salute e del benessere, cosa che sta facendo da un po' di tempo attraverso diversi dispositivi, dagli Apple Watch agli ultimi brevetti per cuffie e bilance per il monitoraggio della salute. Ma mentre fino ad oggi i brevetti Apple erano circoscritti ad un mondo molto "consumer", quello legato alla salute e al benessere delle persone nella loro vita quotidiana, in questo caso l'azienda sta cercando di portare la propria capacità di monitoraggio fisico in un'arena più clinica.

Ed è comprensibile, se si pensa che Apple ha già gettato le basi per capacità di misurazione biometrica di alta qualità. Perché non applicarle al monitoraggio medico? La mossa ha perfettamente senso.
Ma che aspetto potrebbe avere questo device? Più che una cuffia, è probabile che finirà per assomigliare a un polsino sottile, oppure a un orologio da polso. Quale che sia la forma, tuttavia, ha poca importanza. Quello che conta davvero sono i sensori e i dati.

A lungo termine, Apple potrebbe cercare di conquistare la popolazione anziana con dispositivi come questo e, sebbene l'azienda probabilmente non si stia diversificando nel settore della tecnologia medica tradizionale nel breve termine, questi dispositivi potrebbero essere un punto di ingresso per offerte di tecnologia medica domestica per le persone anziane che spesso hanno bisogno di monitoraggio medico continuo... al di fuori di un contesto ospedaliero o di fisioterapia.

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